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Biodiversità e genomica

15 Maggio 2018 | 10:40 - 13:00

La conferenza di Rio de Janeiro del 1992 ha messo in luce che il destino del pianeta è gravemente minacciato dall’inquinamento, dalla deforestazione e da uno sfruttamento improprio delle risorse naturali. Le ricerche effettuate negli ultimi anni sul rapporto tra i cambiamenti climatici e la modificazione del patrimonio delle risorse naturali mettono in evidenza che l’impoverimento della diversità genetica delle specie si ripercuote sui periodi di riproduzione di piante e animali, sulle migrazioni, sulla distribuzione delle specie e sulla dimensione delle popolazioni, nonché sulla frequenza della comparsa di epidemie e invasioni parassitarie. Si tratta della perdita di un patrimonio genetico composto di geni che oggi non si conoscono, ma che potrebbero rivelarsi determinanti in futuro per diverse esigenze della popolazione umana. Le stesse ricerche infatti mettono in evidenza come, negli ecosistemi, le comunità funzionalmente diversificate abbiano maggiori probabilità di adattarsi ai cambiamenti e alla variabilità del clima rispetto a quelle impoverite. E’ quindi importante riconoscere che la perdita di biodiversità è un problema etico, anche se nel medio termine non condiziona né le attività produttive, né l’economia di mercato. Tuttavia si deve tener presente che qualsiasi misura che verrà intrapresa allo scopo di salvaguardare la biodiversità dovrà scontrarsi con l’economia di mercato del momento, che invece è stata la causa determinante del suo impoverimento. Occorre tuttavia riconoscere che la ricerca è ancora lontana dall’individuare nelle razze autoctone specifici geni utili o potenzialmente utili e fino ad ora l’interesse verso le razze autoctone è stato soprattutto di tipo culturale. Nel caso delle risorse genetiche animali d’interesse zootecnico, i risultati delle ricerche, nel migliore dei casi, hanno solo potuto stabilire l’entità e l’andamento dell’erosione genetica e sono riuscite a definire schemi riproduttivi che garantiscano la conservazione della variabilità genetica in popolazioni di ridotte dimensioni. La ricerca non può però, da sola, fornire strumenti operativi che garantiscano la sopravvivenza di popolazioni minacciate di estinzione e nel lungo periodo il mantenimento delle razze autoctone, poco redditizie per gli allevatori, dovranno trovare nuove ragioni d’essere all’interno delle attività aziendali. Si tratta di un’esigenza in linea con la stessa CBD (Convenzione sulla Biodiversità Biologica, Rio de Janeiro, 1992) che con il protocollo di Nagoya (2010) ha adottato, tra l’altro, un nuovo “approccio ecosistemico” che prevede il superamento dei criteri meramente conservazionistici considerando la comunità umana, e le sue attività, come parte integrante degli ecosistemi e dei meccanismi che li regolano e non come “elemento disturbatore” dell’equilibrio naturale. A livello globale invece, il declino delle razze autoctone sta proseguendo per la pressante concorrenza economica delle razze selezionate e/o cosmopolite. La tavola rotonda vuole mettere in comune idee ed esperienze diverse per una riflessione sulle ragioni, i metodi ed i programmi per la conservazione della biodiversità delle specie animali domestiche acquatiche e terricole.

 

Saranno discussi i principali approcci allo studio ed alla gestione della biodiversità tramite la genomica, individuando possibili strategie metodologiche future.

MODERATORE Bianca Moioli, CREA-ZA

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Data:
15 Maggio 2018
Ora:
10:40 - 13:00
Categoria Eventi:

Luogo

CREA ZA
Via Antonio Lombardo, 11
Lodi, LO 26900 Italia
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